di Nicola Grigion
Quando parliamo di professioni sociali, soprattutto durante l’emergenza Covid19, compiamo sempre un’operazione scivolosa.
Noi stessi, nel raccontare le storie dei lavoratori del sociale che non possono fermarsi, abbiamo ricordato il senso di solidarietà e di responsabilità che animano questo lavoro. Talvolta, quindi, seppur mossi dalle migliori intenzioni, rischiamo di dare eccessiva enfasi ai tratti umani e passionali che lo caratterizzano, finendo ingiustamente per mettere in secondo piano le importanti professionalità che questo impiego richiede: trasversali e specifiche, tecniche e relazionali al tempo stesso. Si tratta di un carattere individuale dei professionisti del sociale, questo, che invece andrebbe messo sempre al primo posto.
Ma c’è un altro aspetto che rischia di essere taciuto ancor più spesso e che dovrebbe invece essere al centro di ogni ragionamento sul lavoro sociale, tanto più in questo momento di crisi: la sua dimensione collettiva. Parliamo, quindi, dell’equipe.
Nei nostri consigli utili per affrontare l’emergenza, abbiamo tentato di offrire alcune indicazioni di metodo per far fronte agli smottamenti provocati da questo momento epocale. Per esempio, abbiamo visto come, in questa situazione di sbandamento, procedere per punti invece di tentare approcci complessivi rispetto alla crisi in corso, potrebbe aiutarci a non perderci. Abbiamo anche visto come riscrivere gli obiettivi e le priorità del nostro lavoro possa essere la chiave per adattarci meglio a questa situazione, laddove tutte le nostre certezze sono state messe sottosopra. E, infine, abbiamo valutato che, più che sulle competenze professionali, questo potrebbe essere il momento di far leva su esperienza e risorse personali di ognuno di noi, che inevitabilmente entrano in gioco.
Fino a qui tutto bene. O quasi. Si perché, un conto è mettere in fila una serie di consigli, altra cosa, direte voi, è metterli in pratica, verificarne la fattibilità, assumersi la responsabilità e il peso delle scelte, facendo i conti la realtà di un servizio a domicilio, uno sportello, una struttura di accoglienza o un’unità di strada, tutti messi sottosopra dallo scenario pandemico.
In effetti non c’è nulla di semplice in tutto questo. Una cosa però è certa: da soli non possiamo farcela. L’unico modo è ripartire dalla nostra equipe.
Affrontando l’argomento “gruppo di lavoro” non è semplice evitare di cadere in retoriche che esaltano orizzontalità e condivisione, senza tuttavia riuscire a riempirli di senso. E’ bene invece riconoscere che, proprio il lavoro in equipe, è un territorio quasi sempre problematico, carico di equivoci, di contraddizioni, di relazioni riottose, spesso disegnato sulla carta ma più difficilmente tradotto nella realtà.
Lo scenario, inedito per tutti, rende inoltre più fragile ogni certezza e fatichiamo a trovare modelli di comportamento utili da seguire. Possiamo però provare ad orientarci attingendo ad uno dei patrimoni più preziosi che possediamo: la memoria dei nostri errori.
Quelli che abbiamo commesso in passato e da cui è il momento di dimostrare di aver imparato.
Uno spazio di sfogo
Sarà capitato anche a voi (dovrebbe!) di ritrovarvi con la vostra equipe subito dopo le prime disposizioni sull’isolamento e la sospensione delle attività, ormai più di un mese fa. Probabilmente la modalità telematica e le urgenze avranno imposto di entrare subito in una fase operativa, per agire in fretta e non perdere troppo tempo. Non è certo sbagliato. Anzi. Ma, al netto delle incombenze e dell’economia dei tempi, nelle nostre riunioni d’equipe, quelle che confidiamo abbiate fatto almeno settimanalmente anche in questo momento di crisi, potrebbe essere utile dedicare uno spazio, anche contenuto, alla condivisione delle preoccupazioni. Infatti, non possiamo sottovalutare la pressione che ogni membro del nostro gruppo sta vivendo, pretendendo la stessa lucidità di sempre. Il cambio repentino della nostra quotidianità e i timori per la situazione, non solo rispetto al contagio, ma anche quelli economici e sociali, hanno effetti diversi sui componenti del nostro team e uno spazio in cui verbalizzare le preoccupazioni, confrontarsi, sentirsi accolti e riconosciuti, potrebbe essere di enorme aiuto. Tra le righe delle parole di un collega potremmo inoltre leggere una richiesta di aiuto o potremmo noi stessi averne bisogno. Ma potremmo anche scoprire nuovi leader, nuovi trascinatori, anche solo temporanei; colleghi capaci di farsi carico maggiormente della situazione, forti di risorse personali fino a prima celate. Saranno di enorme aiuto.
Anche a distanza di un mese dall’esplosione del contagio, potrebbe essere utile riproporre sempre questo momento, lasciando anche libero sfogo ai pensieri, perché la situazione è in continua evoluzione e con essa, anche lo stato d’animo dei componendi della nostra equipe. Questa possibilità permetterà, non solo di ritrovare la stessa lunghezza d’onda con i colleghi, ma anche di rafforzare i legami del gruppo, condividendo insieme le emozioni di questo momento critico. Il ruolo del coordinatore in questo caso sarà di estrema importanza per gestire al meglio questo spazio e per capirne i limiti e poterlo chiudere prima che diventi esageratamente carico e quindi dannoso per qualcuno dei nostri colleghi. L’ordine del giorno, poi, incombe.
Manteniamo, anzi rafforziamo la supervisione
Quando un evento impatta in maniera così importante sulla nostra quotidianità e tutti i nostri sforzi sono concentrati sulle azioni da mettere in campo per fronteggiare la situazione (pensiamo ai tanti interventi straordinari che abbiamo dovuto affrontare per mettere in sicurezza gli utenti, o per riorganizzare i luoghi di lavoro), la tentazione è quella di lasciare per strada alcune buone abitudini, o almeno di trovarsi in difficoltà nel riprogrammarle. Sarà capitato anche a voi, in passato, di aver derogato all’agenda per far fronte a una situazione difficile. Rinviare può essere una buona soluzione temporanea ma non ci salverà nel mare turbolento che stiamo attraversando. Lo spazio di sfogo e condivisione che ci siamo presi, per quanto prezioso e utile, non può infatti bastare e non va confuso con uno dei principali strumenti che garantisce il benessere della nostra equipe: la supervisione psicologica esterna. Tutti i gruppi di lavoro dovrebbero poterne godere sempre e, se non l’avete ancora attivata, questo è il momento buono per farlo. Certo, entrare in sintonia con il supervisore non è facile e talvolta servono diversi tentativi. Lo spazio della supervisione, però, può diventare un momento determinante nella vita e nel consolidamento del nostro team, sia perché il lavoro sociale porta con sé un carico emozionale e relazionale altamente rilevante, sia perché le relazioni tra i componenti del nostro gruppo sono continuamente sottoposte a stress e hanno bisogno di una buona manutenzione, al di là delle attività ordinarie di coordinamento. Potremmo mantenere il nostro appuntamento mensile con il supervisore o ritenere più opportuno, in questa fase particolare, attivare la supervisione in maniera più frequente, magari sperimentando in alcuni casi anche quella individuale. Non sarà tempo sprecato.
Inutile dirlo, ma facciamolo: perché lo spazio della supervisione sia comodo per tutti e diventi effettivamente un momento di cura, il supervisore dovrà necessariamente essere esterno al gruppo di lavoro e non essere implicato nella presa in carico dei beneficiari del servizio che svolgete. La supervisione, anche e soprattutto quando entra nel merito degli approcci con cui gli operatori affrontano le situazioni individuali dei beneficiari, non va confusa con un momento di consulenza o di confronto sul caso specifico, anche se talvolta possiamo avere difficoltà a individuare i confini. Il professionista incaricato ci saprà di certo guidare.
Attenzione a ruoli e mansioni
Risintonizzati sulle frequenze condivise dell’emergenza, i membri dell’equipe dovranno cercare di rimettere in moto il loro lavoro. Non tutte le attività, i servizi e gli interventi potranno essere svolti, almeno non come prima. Nei nostri consigli utili avevamo già indicato l’opportunità di riscrivere le nostre priorità, ridisegnando i nostri obiettivi che, se non del tutto ribaltati, sono quantomeno gravemente condizionati dall’emergenza. Intorno a queste priorità e a questi nuovi obiettivi sarà importante anche ridefinire una nuova suddivisione di ruoli e mansioni all’interno del gruppo di lavoro, o verificare se quella attuale è adeguata. Certo, non si tratta di snaturare le competenze e le professionalità spiazzando il team e i suoi membri. Ma in questo contesto, dove si lavora necessariamente più distanti e più soli, sarà importante verificare le convergenze e avere maggiore attenzione ai meccanismi di condivisione e cooperazione. Senza retorica, nei fatti.
Da questo punto di vista, non c’è dubbio, saranno più avvantaggiate le equipe che, non solo hanno già un distinto carattere multidisciplinare, ma hanno assunto l’interdisciplinarietà come modo di affrontare e organizzare il loro lavoro. Si tratta di gruppi di lavoro in cui ogni componente, non solo ricopre un ruolo e svolge una mansione diversa dagli altri, ma lavora in maniera complementare a quella dei colleghi. In sostanza, parliamo di quei gruppi dove, non solo c’è una presenza di diverse professionalità che ricoprono ruoli diversi (psicologo, educatore, operatore socio sanitario, operatore legale, assistente sociale, giusto per fare alcuni esempi), ma sono previsti anche spazi e tempi comuni di lavoro ed intervento, fisici e digitali (tra questi la riunione dell’equipe multidisciplinare, il progetto individualizzato condiviso, il diario di bordo, etc.). In queste equipe ogni membro, a partite dal proprio ruolo e dalla propria specifica competenza, contribuisce alla definizione di percorsi, interventi, soluzioni, e ogni intervento è concatenato a quello dei colleghi. In questi gruppi lo sforzo (e a volte lo scontro) sono maggiori, ma diventano anche il modo in cui prendono forma decisioni importanti e condivise, diversamente dai gruppi in cui ogni membro svolge le stesse mansioni degli altri e si limita ad un confronto o in cui ognuno, seppur con ruoli diversi, opera separatamente, producendo un effetto silos.
Durante la crisi, con obiettivi e priorità nuove che implicano spesso un maggior impiego di risorse personali piuttosto che professionali, sarà quindi utile verificare le geometrie del nostro organigramma utilizzandolo come strumento strategico e non semplicemente come fotografia della nostra organizzazione. Sperimentare nuovi modi di funzionamento per favorire l’interazione tra i membri dell’equipe ed evitare, in questa fase più che mai, che le distanze diventino ancor più marcati, sarà un ottimo esercizio anche per il futuro.
Darsi tempi certi per abitare l’incertezza
Uno dei motivi più importanti dello spiazzamento che un po’ tutti abbiamo avvertito già dai primi giorni dopo la deflagrazione della crisi, è il fatto che le nostre giornate sono state messe letteralmente sottosopra. Dover fare senza poter fare è un abito scomodo da vestire. Lo spaesamento è tanto più importante quando fatichiamo a ritrovare tempi certi e nuove norme di funzionamento.
Quella del lavoro nell’emergenza, d’altronde, è solitamente una storia di notti insonni e levatacce, di giornate mai concluse e di una serie di pasti consumati senza fermarsi. Per questo, riorganizzare i tempi dell’intera equipe (oltre ai nostri) ci permetterà di non ripetere un errore che probabilmente abbiamo commesso altre volte in situazioni di emergenza, quando abbiamo fatto saltare scadenze condivise e individuali. Capita. Sarà però fondamentale dare al più presto nuove certezze al gruppo e riorganizzare i tempi intorno ad alcuni punti di convergenza. Senza rigidità, ma fissando alcune ancore, alcuni momenti, alcune scadenze, che rappresentino per tutti dei punti di riferimento.
A tenere unito il lavoro della nostra equipe potrebbe aiutarci ulteriormente anche la tecnologia. Non solo la miriade di piattaforme che permettono conversazioni, riunioni o addirittura assemblee a distanza, come Zoom, GoToMeeting, Google Meet, Mic-Teams, Whereby, Webex, Skype, Hangouts, Jitsi, che tutti abbiamo già sperimentato abbondantemente fin dalle prime ore, ma anche altri strumenti che permettono di condividere l’avanzamento del lavoro o di lavorare in condivisione. Oltre alla galassia di estensioni messe a disposizione da Google, vale la pena ricordare gli strumenti offerti da piattaforme come Trello e Slack, che possono diventare dei veri e propri uffici virtuali, dove condividere progetti, assegnare priorità e seguire l’avanzamento dei lavori dei colleghi secondo una metodologia “agile”, incentrata su cicli di lavoro.
Anche questa sarà una buona palestra per chi ancora non si era attrezzato adeguatamente.
Attenzione però. Né gli strumenti, né la riorganizzazione del lavoro possono farci dimenticare che quelli di prima, scanditi negli spazi dell’ufficio o delle strutture, sono tempi che non possono essere trasferiti tali e quali nelle nostre case. Il tempo del lavoro da casa, o quello dei luoghi di lavoro che la pandemia ha modificato nel loro modo di essere vissuti, sono molto diversi da quelli di sempre. Si tratta di un tempo di lavoro dilatato, in particolare durante un’emergenza che moltiplica i problemi e complica le soluzioni. In casa, così come nelle strutture, anche riorganizzare gli spazi è un lavoro, così come è un lavoro quello di far combaciare i tempi con quelli dei colleghi, o magari dei figli che a loro volta devono seguire lezioni online, solo per citare alcuni tra i problemi più comuni.
E questa considerazione ne porta immediatamente con sé un’altra. Non siamo tutti uguali e pertanto non tutti potranno rispondere alla nuova organizzazione adeguandosi con la stessa facilità degli altri. Adottare un modello non solo agile, ma anche flessibile, calibrato su ognuno dei nostri collaboratori (in questo caso sarà il coordinatore dell’equipe ad avere un ruolo centrale) sarà vitale per garantire che in questa situazione, già di per sé complessa, il gruppo abbia la possibilità di esprimersi al meglio, valorizzando e non rimarcando le differenze.
A questo proposito va tenuto presente anche il livello di sforzo che possiamo chiedere ai nostri collaboratori. Non solo legati alle caratteristiche personali, ma anche a quelle contrattuali. Gli equilibri di sempre sono saltati.
I tempi per i singoli
Un ultimo pensiero non può che andare alla nostra macchina del caffè. Quella dove abbiamo consumato tante pause tra una riunione e l’altra, dove abbiamo incrociato quel collega che, da solo, si è sentito più libero di sfogare i suoi pensieri o di fare quel ragionamento che in riunione non ha avuto il tempo e la prontezza di articolare. Questa emergenza più di quelle che abbiamo vissuto in passato, ha quasi azzerato i tempi di ascolto informale, quelli dedicati a ogni singolo membro del nostro gruppo, che rischiamo ora di incontrare solamente tra i box di una piattaforma o nel mezzo di un intervento in cui è impossibile prendersi lo spazio e il tempo per un confronto.
Ma abbiamo fortemente bisogno di rinsaldare i nostri legami. Non tralasciamo quindi il rapporto con i singoli membri del gruppo. Una chiamata, un momento dedicato ad ognuno di loro, compatibilmente con i tempi che scandiscono queste giornate, potrebbe rivelarsi essenziale per capire ciò che non traspare, per avere impressioni e suggestioni, o semplicemente per ritrovare quella sintonia che, sappiamo tutti, più che attorno al tavolo delle riunioni, si salda spesso davanti alla macchina del caffè.
Lo sappiamo bene. Non sarà semplice mettere in pratica tutte le cose che ci siamo detti e proposti di fare. Non è un dramma. Non sarà un problema. Non è il momento di fare bilanci o di correggere con la penna rossa i nostri errori. Questo è il momento di vivere l’incertezza, cercando di abitare il caos in maniera costruttiva. Per questo, anche per la nostra equipe, questo può essere un momento di eccezionale innovazione: delle relazioni, degli strumenti, delle geometrie e, perché no, degli orizzonti.
L’importante è ripartire dal nostro gruppo di lavoro, prendersene cura, rimettendolo al centro del nostro funzionamento come architrave della nostra organizzazione, anche quando i tempi dell’emergenza sembrano consigliarci di tenere la testa bassa e correre, per poi rialzarla una volta che tutto questo sarà finito.
Rimanere immobili aspettando un tempo migliore non ci aiuterà.
Il dopo è già ora. Per questo dobbiamo aiutarci a sperimentarlo insieme.
Al di là della retorica, noi e la nostra equipe potremmo uscirne feriti, ma di certo più forti e rinnovati.